La Pala
La Circoncisione Olio su tela del XVIII secolo di Andrea Miglionico
Il dipinto, alto 250 cm e largo 183 cm, rappresenta il rito della circoncisione e dell’imposizione del nome, Gesù, al bambino.
La scena è popolata da floride figure femminili e numerosi personaggi ben costituiti e in atteggiamenti festosi. Gli assi delle figure, i gesti, la successione dei volti e la direzione dei movimenti tracciano percorsi di osservazione che guidano l’osservatore verso il punto in cui è collocato il centro di interesse del dipinto: Gesù bambino. In alto, sullo sfondo con nuvole, un angelo ha lo sguardo rivolto al cielo e regge un cartiglio su cui si legge: “Et vo(ca)tu(s) nomen eius Jesus” (E gli fu messo nome Gesù). Lo sguardo dell’angelo rivolto al cielo sta ad indicare che il nome è stato scelto dall’alto.
La scena descrive e solennizza il rito della circoncisione e dell’imposizione del nome a cui doveva essere sottoposto ogni figlio maschio l’ottavo giorno dopo la nascita (Lv 12,1-8). Poco al di sopra del centro della tela è raffigurata la scena centrale dell’avvenimento: Gesù bambino – in atteggiamento quasi estatico – tra due sacerdoti in abiti rituali. Il primo di essi tiene in grembo il neonato, mentre il secondo legge un grosso libro, tenuto aperto da un inserviente, e si appresta a compiere l’atto della circoncisione.
Maria è presentata con manto azzurro, abito rosa, velo giallo, mani giunte e atteggiamento mistico. Giuseppe è rappresentato con tunica verde, mantello giallo ocra, barba bianca, in atteggiamento gioioso e con in mano un bastone da viaggio fiorito, simbolo iconografico distintivo della sua persona.
Nella parte bassa del quadro è descritta la scenetta ilare di un bimbo che insegue e cerca di catturare un volatile sfuggito a qualcuno. Immediatamente dietro al bambino si vede una variopinta composizione floreale.
Sul lato sinistro, una prosperosa figura femminile regge una cesta con due piccioni. Il particolare non ha attinenza con il rito della circoncisione bensì con quello della purificazione, prescritta per il quarantunesimo giorno dopo la nascita del bambino. In quell’occasione veniva offerto il sacrificio consistente, per i poveri, in due tortore o giovani colombi. Il richiamo alla povertà della famiglia di Nazaret, di natura evangelica, è inserito dall’artista in un contesto di sontuosità, che indica allegoricamente il profondo significato della circoncisione e del nome Gesù dato al figlio di Maria e Giuseppe. L’opera è di Andrea Miglionico, che ha posto la propria firma sulla tela in basso a sinistra.
Al di sopra della pala, nella cornice, è inserito un medaglione polilobato in cui sono riportate le parole dette dell’arcangelo Gabriele a Maria durante l’annunciazione “Vocabis nomen eius Jesum-Lc1” (lo chiamerai Gesù-Lc 1,31). La frase del medaglione è in diretto rapporto con quella che nel dipinto è scritta sul cartiglio tenuto dall’angelo. Quest’ultima, espressa in forma passiva, propone l’evento della circoncisione con l’imposizione del nome quale risposta e attuazione delle parole dette dall’arcangelo.
virtù cardinale La Giustizia
La scultura in stucco, opera di ignoto scultore del XVIII secolo raffigura l’allegoria della Giustizia: è la continuazione della presentazione delle virtù cardinali iniziata nel braccio destro del transetto.
Essa è collocata al di sopra della trabeazione degli elementi architettonici decorativi dell’altare. E’ una figura femminile con elmo e cimiero che indossa una corazza con decorazione antropomorfica e volute. Indossa abbondanti vesti con panneggio e pieghe profonde e assai mosse con notevole effetto chiaroscurale. La giustizia è presentata con le sembianze di una giovane donna dal portamento maestoso. Purtroppo sono venuti a mancare gli oggetti che sono i suoi segni iconografici specifici. E' probabile che reggesse la bilancia nella mano sinistra, tesa verso l’esterno. Della spada, che solitamente accompagna la bilancia, è rimasta solo l’impugnatura tra le dita della mano destra e, all’altezza della spalla, quello che, forse, era un rinforzo.
virtù cardinale La Fortezza
La scultura in stucco, opera di ignoto scultore del XVIII secolo, raffigura l’allegoria della Fortezza, quarta ed ultima virtù cardinale rappresentata nel transetto.
Simmetrica, rispetto alla Giustizia, la Fortezza è collocata sul lato sinistro, al di sopra della trabeazione, con lo stesso schema decorativo. Questa virtù è rappresentata sotto le sembianze di una giovane donna dal portamento impettito. L’armatura è quasi interamente liscia, fatta eccezione per un colletto molto semplice e l’accenno ad un motivo antropomorfico sul ventre. Ha la mano destra appoggiata sul fianco, mentre con il braccio e la mano sinistra stringe e solleva il fusto di una colonna spezzata. La colonna è il simbolo iconografico specifico della fortezza. Rispetto alla Prudenza e alla Giustizia, il panneggio dell’abito presenta superfici lisce più ampie, pieghe meno articolate e meno profonde.
I Medaglioni
Il Bambino Messia. Come nel braccio destro del transetto, anche in questo braccio risaltano tre medaglioni ellittici color terracotta, alti 60 cm e larghi 45 cm: al di sopra della pala è collocata l’immagine del Bambino che schiaccia la testa dell’antico serpente; nell’intercolumnio destro la figura dell’evangelista Giovanni e in quello sinistro la rappresentazione dell’evangelista Marco. Le tre immagini sono accumunate dal tema della salvezza messianica.
Evagelista Giovanni. L’immagine è un bassorilievo contenuto in un medaglione di stucco color terracotta. Raffigura il quarto evangelista in un atteggiamento contemplativo di ciò che sta per scrivere. In basso a sinistra si vede il simbolo iconografico specifico di Giovanni: l’aquila, che, ritenuta capace di fissare il sole senza riportare danno, è figura del livello teologico particolarmente elevato degli scritti giovannei. In questa immagine la corona posta sul capo dell’animale, nemico naturale del serpente, suggerisce anche l’interpretazione orientale dell’aquila come figura di Cristo risorto vittorioso sul serpente. Questo richiamo si collega chiaramente alle visioni giovannee, descritte nell’apocalisse, che con forza evidenziano la lotta tra il drago o l’antico serpente e Cristo.
Evangelista Marco. L’immagine è un bassorilievo contenuto in un medaglione di stucco color terracotta. Raffigura il quarto evangelista in un atteggiamento contemplativo di ciò che sta per scrivere. In basso a sinistra si vede il simbolo iconografico specifico di Giovanni: l’aquila, che, ritenuta capace di fissare il sole senza riportare danno, è figura del livello teologico particolarmente elevato degli scritti giovannei. In questa immagine la corona posta sul capo dell’animale, nemico naturale del serpente, suggerisce anche l’interpretazione orientale dell’aquila come figura di Cristo risorto vittorioso sul serpente. Questo richiamo si collega chiaramente alle visioni giovannee, descritte nell’apocalisse, che con forza evidenziano la lotta tra il drago o l’antico serpente e Cristo.
Tela Arcangelo Michele
Olio su tela del XVIII secolo attribuito a Vincenzo Fato
Il dipinto, alto 185 cm e largo 115 cm presenta l’arcangelo Michele, che schiaccia Lucifero, nome tradizionalmente dato al drago o serpente antico, cioè il diavolo, satana. L’opera è ragionevolmente attribuita al pittore Vincenzo Fato: la composizione è equilibrata, i particolari sono curati, i tratti del volto dell’arcangelo sono armoniosi e ben disegnati, il panneggio del mantello è ricco di movimento e di chiaroscuro, i colori sono brillanti.
L’arcangelo Michele è identificato con i segni iconografici specifici: la corazza e l’elmo con cimiero lo qualificano come combattente vittorioso di Dio e condottiero delle schiere angeliche; la spada fiammeggiante rievoca quella dei cherubini posti a custodia dell’Eden quando Adamo ed Eva ne furono scacciati (Gn 3,24); le ali piumate indicano la sua natura angelica. Il diavolo, Lucifero, è identificato dalle corna, dalle ali di pipistrello, dalle orecchie asinine e dalle dita artigliate delle mani e dei piedi; sono i segni iconografici comuni a tutti i demoni. Nel dipinto Lucifero è rappresentato riverso sul dorso; nonostante la robustezza, è sotto i piedi dell’arcangelo Michele; le fiamme che si intravedono indicano l’inferno. È rimarchevole la somiglianza tra il volto dell’Eresia, nel dipinto di San Tommaso d’Aquino, ed il volto di Lucifero in questo dipinto.
Tela Arcangelo Raffaele e Tobia
Olio su tela del XVIII secolo attribuito a Vincenzo Fato
Il dipinto è alto 185 cm e largo 115 cm, presenta l’arcangelo Raffaele e Tobia mentre sostano, sul far della sera, sulla riva del fiume Tigri. L’episodio raffigurato è tratto dal libro del deuterocanonico di Tobia(VI,2-5-6): l’Arcangelo Raffaele che incoraggia il giovane Tobia a catturare il pesce balzato fuori dal fiume Tigri, dove il ragazzo si era accostato per lavarsi. Il fegato, il cuore e il fiele del pesce dovevano essere conservati parte per scacciare il demonio e permettere a Tobia di sposare Sara, parte per curare dalla cecità l’anziano padre del fanciullo. L’opera è ragionevolmente attribuita al pittore Vincenzo Fato: la composizione è equilibrata, i particolari sono curati, i tratti del volto dell’arcangelo sono armoniosi e ben disegnati, il panneggio ricco di movimento e di chiaroscuro, i colori sono brillanti. Lo stato di conservazione è buono. Un certo dinamismo deriva dalla collocazione del punto di fuga delle linee prospettiche lateralmente, al di fuori della tela, in prossimità dell’area più luminosa.
Tratto da Giacomo Lanzillotta in “Putignano: il paese e la memoria” amministrazione Comunale di Putignano, La Chiancata, la Goccia, Porta Maggiore